Rino Enzo, detto “Capon”, è nato a Lio Piccolo nel 1925 quando il paese arrivava a...quasi trecento abitanti.Rino Enzo appartiene alla schiera dei grandi regatanti di origine contadina, proveniente dalla conterminazione lagunare più distante da Venezia, ma che alla città era costretto a rivolgersi come “mercato” naturale della propria attività. È un signore cordiale, dai modi gentili, dotato di un bonario umorismo e di uno spirito tendente essenzialmente all’allegria. Gli Enzo probabilmente hanno origini antiche da Chioggia o Pellestrina - distinguendosi in due rami - quelli dei “Pacion” e in quello dei “Capon”. Ma per lui il “soco” (lo zoccolo) di almeno un paio di generazioni è originario da Lio Piccolo. Capon - che vive nei mesi invernali nell’ambito più confortevole della vicina Ca’ Savio - non ha mai abbandonato la sua terra. Qui vi ritorna all’estate e ha sempre amato fare il contadino, ma comunemente al resto dell’umanità quando riguarda il proprio passato, ha il rimpianto di non aver scelto di fare il gondoliere. Al tempo dei suoi anni fiorenti ne avrebbe avuto tutte le opportunità, non solo con il lasciapassare dei primi premi nella Regata Storica, ma per quelle capacità fisiche che dimostrava quando era alla voga di una gondola o di una caorlina. Principalmente con questi due tipi di imbarcazioni Rino Capon se ne partiva, anche da solo, due o tre volte alla settimana, da Lio Piccolo alla volta del mercato di Rialto. Usciva verso le due del mattino con una barca carica di frutta. Sfruttando una ormai atavica conoscenza dei ghebi, delle secche tracciate da pali con qualche frasca attorno e costeggiando Burano, incalzava il rio dei Gesuiti con lo sprone di essere uno dei primi a conquistare la “piazza”. Il ritorno era più tranquillo, ma ugualmente l’impresa aveva dell’incredibile. Rino Capon la sintetizza eloquentemente con un velo di tristezza: “el gera proprio un strapazzo”. Le feste e le ricorrenze principali, sia delle isole, sia dei paesi della gronda lagunare, si festeggiavano solennemente, tra le altre cose, con l’organizzazione di una regata. Il fortissimo Capon che da solo si portava una gondola o una caorlina da Lio Piccolo e Rialto, non aveva difficoltà a distinguersi in queste competizioni popolari. L’inaugurazione del ponte del Pordelio che sostituiva il vecchio “passo” di barche lo vedeva primeggiare. Ma se vincere in casa lo faceva diventare un beniamino dei propri compaesani, vincere in trasferta - per esempio a Oriago lungo la Brenta - significava fare un grosso affronto alla tifoseria del posto che ancor meno gli perdona l’umiliazione di quel minuto di distacco che infligge ai campioni locali: “i voeva bastonarme”.
Siamo agli inizi degli anni cinquanta. Il premio è di cinquantamila lire e la bandiera è una sola per barca. Come sempre c’è chi fa le cose per la gioia e chi per soldi. Optando il suo compagno per la bandiera fu ben contento in quella circostanza di “accontentarsi” del premio finanziario. Talvolta il dono diventa prezioso per la persona che lo offre. Una significativa fotografia lo mostra mentre riceve una bandiera nientemeno che da Primo Carnera. Sono anni decisamente più sereni del decennio appena trascorso. Nell’evento bellico si fa coinvolgere con l’irresponsabilità di un diciassettenne in maniera un pò tragicomica. Viene reclutato tra i Repubblichini nella vicina “Batteria Amalfi” di stanza a Treporti. Incarico “Operatore Cannocchiale”! Imprecise le distanze che doveva rilevare su una distesa di barene e sconosciuto il nemico. Cosa poteva saperne, inoltre, un “grumatera” come lui proveniente da un piccolo paesino lagunare, distante dalla retorica patriottica di un regime ormai allo sfascio più che dalla terra alla luna?
Con la logica essenziale del contadino e l’irresponsabilità del ragazzo se ne scappa attraverso i “salsi” delle attigue valli da pesca. Per farlo saltar fuori gli prendono il fratello col ricatto di portarlo in Germania. Arrestato e lasciato per alcuni giorni sul tavolaccio di un telemetro che fungeva da prigione, viene portato dapprima a Burano e poi al Distretto di Treviso. Dopo tre mesi, con la prospettiva di andare al fronte o in Germania, sono ancora le amiche e più fidate barene casalinghe ad accorglielo e nasconderlo. Nel 1948 è raffermato ancora per successivi diciassette mesi in vista dell’incerta situazione politica che poteva definirsi all’indomani delle votazioni di maggio. Poi il graduale ritorno alla normalità e il coinvolgimento naturale nelle competizioni remiere, e, ineluttabile arriva, in quei primi anni di serenità, il matrimonio con una ragazza del posto. Fisicamente prestante Rino non ha difficoltà a primeggiare nelle classiche regate di “forza” - principalmente San Giovanni e Paolo e Murano - e a poco a poco il nome di Capon comincia ad avere un peso considerevole nell’ambito degli appassionati. Una notorietà che certamente non poteva sfuggire all’accorto “clan” di Strigheta che si muoveva, con molta anticipazione sui tempi a venire, come un vero sponsor. Corre l’anno 1955, in cui Strigheta veniva da una disastrosa e umiliante eliminazione dalla Regata essendosi messo in coppia con un ambizioso macellaio di Murano che avendo potuto vogare con il primo Re del Remo coronava il sogno della sua vita di modesto atleta, mentre Strigheta si consolava con la certezza di mangiare, per l’annata entrante, la più grande quantità di bistecche che gli si fosse presentata fino a quel momento. A salvare l’onore rimaneva ancora la Regata di Burano. Il “clan”, che si raggruppava sotto il pittoresco nome de “La Compagnia de la Baracola”, insisteva sul - nonostante tutto - riluttante Strigheta, affinché vogasse con Rino Capon. Il tempo stringeva. I più auterovoli rappresentanti della “Compagnia”, vestiti a festa di tutto punto, partono con una barca veloce alla volta di Lio Piccolo. Rino Capon, raggiunto durante il suo lavoro nei campi, viene prelevato di forza e portato a Burano ancora con la zappa in mano. I due fanno un percorso di prova e, alla fine, Strigheta ingiunge agli amici trepidanti che lo aspettavano sulla riva di correre senza indugio a Venezia a iscrivere la nuova coppia. Il pronostico della Regata era tutto per il binomio Seno Bota - Vianello Crea - eppure il pescatore e il contadino arrivarono, contro ogni previsione, “primi de tre bricoe” che nel sistema di misurazione metricoregatale sta a significare un’enormità. Per Capon, Strigheta rimane il modello e il maestro insuperabile. L’accordo perfetto tra poppiere e proviere è il preludio alla vittoria in Storica l’anno seguente nel 1956 con la riconferma due settimane dopo nella regata di Burano. Anche il 1957 è una buona annata. Secondi in Storica dietro ai fratelli Fongher e primi nuovamente a Burano davanti ai fratelli Tagliapietra, Ciaci e Ciaceti. Nel 1959 Strigheta si accorda con un nuovo proviere, il giudecchino Bruno Bastasi detto Toreto. Rino Capon non ha difficoltà di trovarsi un compagno di valore come Bepi Fongher. Strigheta è terzo e Rino Capon finisce in un poco onorevole quinto posto. Il sodalizio con Bepi si rompe con la rinuncia alla immediata regata di Burano. L’anno successivo, nel 1960, Rino Capon è ancora nelle vette della classifica. Secondo nella Storica con il già citato Lupeto, secondo a Murano nella classifica a un remo, quinto a Burano. Negli anni seguenti, fino al 1965, non è più presente in “Storica” ma lascia ancora il segno a Murano e a Burano. Il 1966 è l’anno del suo definitivo ritiro a causa di una forte sciatica lombo-sacrale. Capon ha avuto sette figli di cui cinque ancora vivi che abitano nella maggior parte in zona. Ha il conforto di nove nipoti e l’amore per la sua terra che ancora si dedica a coltivare. |
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